Giuseppe Pignatone, procuratore capo della Procura di Roma, scrive
una lettera, pubblicata su
Repubblica e
Corriere della Sera, sullo stato delle indagini a circa due anni dalla morte di Giulio Regeni in Egitto. Pignatone spiega innanzitutto quali sono state le prime complicazioni nell'inchiesta: "La circostanza che i tragici fatti siano avvenuti in Egitto ha avuto come naturale conseguenza il fatto che spetti, innanzitutto, alle autorità di quel Paese il diritto, ma anche il dovere, di svolgere le indagini. Noi — magistrati e polizia giudiziaria italiani — possiamo solo collaborare e supportare le attività degli inquirenti egiziani, anche con proposte e sollecitazioni; non possiamo, invece, immaginare di raccogliere fuori dall’Egitto elementi decisivi per la individuazione dei responsabili". Il procuratore ringrazia poi il collega egiziano Nabeel A. Sadek perché "per la prima volta, credo, un Procuratore Generale di un altro Paese è venuto in Italia, pur in assenza di trattati, per condividere i risultati delle sue attività d’indagine e noi siamo andati al Cairo con lo stesso scopo". In tutto, gli incontri tra le due procure sono stati sette. Pignatone specifica poi che questa collaborazione è stata attivata tramite la parallela collaborazione tra i due governi e aggiunge "senza dubbio, su questo ha giocato un ruolo fondamentale la spinta della opinione pubblica, anche internazionale". Pignatone elenca poi alcune "difficoltà oggettive" e "ostacoli" (in parte superati, dice) di questa tipologia di collaborazione: "Nella nostra attività di magistrati, siamo chiamati ad agire nel rispetto di determinati criteri e modalità, nonché sulla base della nostra consolidata cultura giuridica; non sempre è stato facile entrare nella mentalità del mondo arabo e misurarci con un ordinamento giuridico dalle regole processuali e prassi investigative del tutto differenti. Solo per fare un esempio, per non spezzare il filo della collaborazione abbiamo dovuto prendere atto dell’impossibilità giuridica di essere presenti quando i colleghi del Cairo ascoltano i testimoni". Il procuratore capo ricorda poi che a dicembre, durante l’ultimo incontro al Cairo con i colleghi egiziani, è stata condivisa l’informativa, "contenente la ricostruzione minuziosa di tutti gli elementi probatori raccolti sino a quel momento, stilata da Ros e Sco" e che se, quella su Regeni, fosse stata un'indagine ordinaria, "sulla base dell’informativa depositata la Procura avrebbe potuto già trarre alcune, seppur parziali conclusioni. Invece, la collaborazione tra i due uffici impone un percorso più lento e faticoso: condividere l’informativa, dare il tempo ai colleghi di studiarla e, quindi, valutare assieme a loro le successive attività da compiere". Il procuratore capo di Roma continua poi affermando che comunque finora dei "risultati concreti" sono stati raggiunti: è stato evitato che le indagini finissero su "binari sbagliati" "come un’inesistente attività di spionaggio da parte di Giulio, o la responsabilità di una banda di criminali comuni" e sono stati fissati "alcuni punti fermi nel cui quadro dovranno inserirsi i prossimi approfondimenti sull’omicidio". Tra questi punti fermi ci sono: "il movente, pacificamente da ricondurre alle attività di ricerca effettuate da Giulio nei mesi di permanenza al Cairo", è emerso poi "con chiarezza il ruolo di alcune tra le persone che Giulio ha conosciuto nel corso di tali ricerche, persone che lo hanno tradito", inoltre "è stata anche messa a fuoco l’azione degli apparati pubblici egiziani che già nei mesi precedenti avevano concentrato su Giulio la loro attenzione, con modalità sempre più stringenti, fino al 25 gennaio". Per quanto riguarda Cambridge e in particolare Maha Abdelrahman, la tutor di Regeni nel Regno Unito – ascoltata come testimone dai pm nei primi giorni di gennaio con la successiva acquisizione di suoi oggetti personali (pc, hard disk e cellulare) –, Pignatone dice: "Vi è poi da sottolineare come, dato che il movente dell’omicidio va ricondotto esclusivamente alle attività di ricerca di Giulio, è importante la ricostruzione dei motivi che lo hanno spinto ad andare al Cairo e l’individuazione delle persone con cui ha avuto contatti sia nel mondo accademico, sia negli ambienti sindacali egiziani. Per questo le evidenti contraddizioni tra le dichiarazioni acquisite nell’ambito universitario e quanto emerso dalla corrispondenza intrattenuta da Giulio (recuperata in Italia dal suo computer) hanno imposto di effettuare accertamenti anche nel Regno Unito, resi possibili dalla efficace collaborazione delle Autorità d’Oltremanica. I risultati di tali attività — anche di perquisizione e sequestro di materiale — a un primo esame sembrano utili e sono allo studio dei nostri investigatori". Il magistrato italiano conclude la sua lettere affermando che la procura proseguirà "con il massimo impegno nel fare tutto quanto sarà necessario e utile affinché siano assicurati alla giustizia i responsabili del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio".